La prima stagione di Lewis Hamilton in Ferrari è stata esagerata nelle attese.
Fin dal primo istante si respirava un clima di grande entusiasmo, dalla visione del celebre completo da corsa rosso fino al costante clamore sui social della Scuderia: tutti preannunciavano il ritorno del campione al vertice. Tuttavia, ciò che fu promesso non si è tradotto in prestazioni che potessero competere per il titolo mondiale.
Non sorprende dunque la delusione, quando né Ferrari né Hamilton sono riusciti a lottare per il campionato. Ma vale davvero la pena incolpare il pilota e il team per le aspre critiche della stampa, sia britannica che italiana? In realtà, a Carlos Sainz non erano state alzate aspettative così elevate al suo arrivo in Ferrari, e la delusione non fu altrettanto marcata.
Allo stesso modo, difficilmente Max Verstappen si troverebbe ad affrontare pressioni analoghe nel caso in cui dovesse iniziare in un nuovo team e non avere prestazioni all’altezza.
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A difesa della prima stagione di Hamilton in Ferrari
È evidente che sia Hamilton che Ferrari necessitano di tempo per ritrovare il gusto della vittoria in Formula 1. Fin dall’inizio della stagione si prevedeva un lungo periodo di adattamento, ma ci siamo lasciati coinvolgere da un racconto fiabesco che prometteva miracoli. Diversi protagonisti del mondo della F1 hanno espresso comprensione per le difficoltà del campione, sottolineando quanto sia complesso ambientarsi in una nuova squadra.
Il problema va ben oltre una semplice perdita di velocità, poiché questa interpretazione risulta riduttiva. Hamilton avrebbe sempre dovuto affrontare una fase di acclimatazione in Ferrari, dove attualmente guida una monoposto configurata sulle caratteristiche del compagno Charles Leclerc. Quest’ultimo, in squadra dal 2019, ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo dell’SF-25, rendendo evidente la sfida nell’adattarsi a una vettura tarata su uno stile di guida diverso.
D’altro canto, Hamilton non aveva mai corso affianco a Leclerc come compagno di squadra, ed è difficile immaginare come potesse adattarsi a un assetto pensato per un altro pilota, ancor prima del via libera in Australia. Durante il Gran Premio d’Austria, lo stesso Hamilton ha riconosciuto la difficoltà di guidare una vettura ottimizzata per lo stile di Leclerc, dichiarando: "Una configurazione più affine a quella di Charles, sì. Lui guida un’auto con un oversteer marcato che consente di far scivolare la parte posteriore senza che la degradazione diventi un problema, mentre nel mio caso, ogni scivolata comporta una notevole perdita di performance." Ha aggiunto anche che ci è voluto molto tempo per abituarsi al Ferrari, precisando: "Si tratta di un processo di adattamento. Dicono che a Carlos ci siano voluti un paio d’anni, e io non desidero ripetere quella esperienza."
A Silverstone, Hamilton ha manifestato il desiderio di vedere la sua vettura dotata di un “DNA” inconfondibile, in vista delle evoluzioni previste per il 2026. Comprensibilmente, dopo questa stagione, il pilota ambisce a un’auto che rifletta maggiormente le sue peculiarità. Parallelamente, le aspettative su Hamilton sono state così sproporzionate da travolgere anche il direttore tecnico della Ferrari, Fred Vasseur. Recentemente, il capo della Mercedes, Toto Wolff, ha difeso Vasseur, citando l’epoca di Jean Todt come esempio del lungo processo necessario per costruire una squadra campione: "Jean Todt entrò nel team nel 1993 e conquistò il primo titolo nel 2000. Otto anni consecutive, un ciclo che fa parte della realtà del motorsport."
Forse siamo stati troppo esigenti nei confronti di Lewis Hamilton. Sia i media che i tifosi si sono fatti trascinare dal clamore mediatico, credendo in miracoli che non si sono concretizzati. È giunto il momento di riconoscere il lungo percorso che Ferrari deve ancora intraprendere per tornare a vincere, moderando le aspettative e evitando critiche sproporzionate che non trasformano, da un giorno all’altro, un team in una vera squadra da campioni.
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